L’umanità ha conosciuto tornanti storici di trasformazione radicale.
Il primo è stato il passaggio dalla cultura orale alla società della scrittura, in particolare nella Grecia del V secolo Avanti Cristo si giunse alla alfabetizzazione diffusa.
Il secondo è stato il passaggio dal manoscritto al libro, con l’invenzione dei caratteri mobili di stampa per opera di Gutenberg, intorno alla metà del Quattrocento.
Il terzo è stato il passaggio recentissimo ad una scrittura esplosa e diffusa nel web, con una proliferazione di documenti che si moltiplicano perché è facile riprodurli e ancor più perché vengono generati automaticamente; al punto che diventa difficile determinare cosa conti come documento. Con un’ulteriore conseguenza, gli Oxford Dictionaries hanno eletto il sintagma “post-verità” parola internazionale dell’anno 2016, a seguito del controverso referendum sulla Brexit e delle elezioni presidenziali americane.
Il prefisso ‘post’ in questo caso non significa ‘successivo’, ma denota una situazione in cui la verità oggettiva perde di rilievo e prevalgono le credenze personali, costruite e alimentate tramite opinioni diffuse dai mezzi di comunicazione con le tecnologie info-telematiche.
In questo scenario il documento notarile, cioè il documento redatto da un pubblico ufficiale, con le richieste formalità, autorizzato ad attribuire al medesimo la “pubblica fede”, conserva intatta la sua utilitas. A differenza di altri titoli che potrebbero risultare non genuini o addirittura “tossici”, l’atto pubblico notarile, anche dematerializzato, mantiene sia in senso formale (cioè come contenitore di documenti legali), sia in senso sostanziale (cioè come conformità dei suoi contenuti all’ordinamento giuridico vivente), i pregi di affidabilità che ha dimostrato nella storia.
Che la maggiore richiesta di documentazione certa e indiscutibile si debba ormai largamente soddisfare in formato digitale nulla toglie, evidentemente, alla validità del primato di un atto notarile, rispetto a una scrittura tra privati, sia pure negoziata con l’assistenza di consulenti di parte. Sul fatto che la dematerializzazione dei documenti valga ad amplificare il ruolo del notaio-documentatore, e non certo a ridurlo concordano studiosi di diversa estrazione, filosofi come Maurizio Ferraris, storici come Giuseppe Galasso e giuristi come Mario Libertini.
Come pure il fatto che oggi con le reti telematiche vi sia una maggiore facilità di accesso ai pubblici registri, accresce e non riduce l’esigenza che i dati immessi in tali registri siano garantiti da un preventivo vaglio di legalità da parte di un soggetto terzo rispetto agli interessi in gioco e pertanto muniti di un alto livello di certezza giuridica.
Soltanto un approccio riduzionistico al tema e al valore dei documenti potrebbe indurre a ritenere che la maggior facilità nel produrre documenti o nell’accesso ai registri immobiliari e delle imprese consenta agevolmente di fare a meno del notaio, riducendo il trasferimento di un immobile o la costituzione di una società a una operazione meramente tecnica.
In conclusione, la dematerializzazione dei documenti non può che aumentare il primato dell’atto pubblico notarile rispetto alle scritture private, poiché essa richiede certezze documentali ancora maggiori di quelle richieste nelle passate stagioni dalla società industriale.