Avvocato Molinié, lei ha presieduto in Francia dal 2021 al 2023 il Consiglio degli ordini degli avvocati presso la Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato e dal gennaio 2024 è Presidente della Società di legislazione comparata, e ha potuto osservare nei ruoli che ha ricoperto e che ricopre l’evoluzione della modalità con cui le professioni del diritto e della giurisdizione hanno vissuto la rivoluzione digitale. Come descriverebbe l’orientamento culturale ed istituzionale oggi?
Nel corso degli ultimi cinque anni il settore del diritto e della giustizia è stato attraversato da un fenomeno particolarmente diffuso e di portata ancora largamente inesplorata derivato dalla combinazione di due fattori: da un lato, la disponibilità, spesso in open access, di dati di carattere statistico sociale, economico, commerciale e di documenti di tipo giuridico e giudiziario in formato digitale; dall’altro lato la fruibilità di tecniche di matematica applicata e di scienza dell’informazione che, unite allo sviluppo di macchine dal potenziale di calcolo in crescita esponenziale. Una narrativa che tende a semplificare molto questo processo di trasformazione dei servizi giuridici e del mondo della giustizia parla di intelligenza artificiale applicata alla giurisdizione, di giustizia algoritmica, di giustizia digitale, o, utilizzando un termine molto utilizzato nel mondo anglosassone, di legaltech.
Oggi la consapevolezza della imprevedibilità delle evoluzioni della tecnologia e dei concreti utilizzi che di essa si potrà fare nel mondo delle professioni legali è molto più alta che in passato. Negli anni compresi fra il 2016 e il 2018 si è vissuta una sorta di miraggio rispetto al potenziale predittivo dell’intelligenza artificiale. Di giustizia predittiva si è a quel tempo molto parlato, con aspettative sovradimensionate rispetto alla reale potenzialità di utilizzo dell’Intelligenza artificiale. Se si pensa ad esempio alla eco che start up come Predictrice hanno avuto nel dibattito e nella comunicazione pubblica così come ai temi dominanti nei convegni o negli eventi di formazione, si nota – con uno sguardo in retrospettiva – che siamo dinnanzi ad una vera e propria ondata discorsiva e sperimentale. Alcune giurisdizioni, in concomitanza con la dematerializzazione degli atti giudiziari e l’entrata in vigore della normativa sull’open data hanno avviato delle sperimentazioni in situ proprio sulla cosiddetta giustizia predittiva. Tali esperienze hanno avuto il merito di mettere in luce il gap enorme che sussiste fra l’aspettativa generata dall’uso del concetto di predittività e quello che effettivamente si può conseguire con l’intelligenza artificiale nella forma di algoritmi allenati sulle basi dati delle decisioni giudiziarie. A questo momento del miraggio ha fatto seguito una stagione di maggiore realismo empirico, nella quale si è raggiunta la consapevolezza che l’IA è uno strumento la cui qualità dipende soprattutto dalla qualità dei dati e il cui portato si qualifica come aiuto, assistenza, accompagnamento, mai predizione. Anche nel mondo dell’avvocatura tale presa d’atto ha avuto luogo. Dinnanzi ad esempio alla constatazione della discrasia fra l’aspettativa e la effettività dell’utilizzo dell’IA si è assistito anche ad una riqualificazione dell’uso dell’IA come una forma di marketing, indicatore questo shift del fatto che probabilmente l’uso dell’IA come strumento di aiuto o di assistenza qualifica in senso innovativo, moderno, agile ed efficace uno studio associato.
Questo passaggio dal miraggio al principio di realtà si è vissuto anche rispetto agli strumenti di IA generativa che sono di più recente diffusione e divulgazione rispetto ai già noti strumenti?
Anche in questo caso nonostante i giuristi discutano molto di chat GPT e di IA generativa è condivisa l’idea che si tratta di strumenti di assistenza, mai di sostituzione. Certamente gli elementi di trasparenza e di interazione con il cittadino e con il cliente diventano nodali. Ma la stagione del miraggio è terminata. Certo, anche sul piano istituzionale, non si è mai mancato di negare che vi sono delle mansioni nelle quali la possibilità di avvalersi di strumenti di analisi della giurisprudenza e degli open data rappresenta un grande asset nel rendere più efficace il lavoro. Questa impostazione mette l’accento sulle mansioni che vengono svolte e sul tipo di apporto che può essere dato dalle tecnologie per rendere alcune attività supportate da strumenti di assistenza. Ma la costruzione intellettuale, che è la natura stessa del diritto, resta nel presidio della professionalità giuridica.
Potrebbe darci qualche elemento in più? In che modo si pensa si debba regolare l’interazione con il cittadino e con il cliente? E come si è avverato questo nel corso degli ultimi anni?
I riflessi sulla tutela dei diritti della persona, nonché sulle forme di controllo e di partecipazione che attori istituzionali portatori di valori e competenze sono in grado di assicurare all’interno dei processi, sono senza alcun dubbio una questione non solo aperta, ma di rango primario nella agenda del millennio che si apre davanti. Rispetto a questo l’interrogativo su quale sia la forma di normatività che meglio si adatta a regolare l’esercizio della professione legale si è posto e continua a porsi in Francia.
Faccio un esempio che mostra quanto la scelta della normatività sia una scelta istituzionale e non una questione squisitamente tecnica. Quando in Francia è stato adottato il codice deontologico del Consiglio degli ordini degli avvocati presso la Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato si è perseguita la strada – inedita sino ad allora – della normazione per via di un decreto del Primo ministro, ossia il codice deontologico è divenuto norma di diritto pubblico, cogente sul piano giuridico e dunque esigibile. Ci si chiede oggi come debba essere regolata l’interazione fra professionista e cliente e più in generale l’uso degli strumenti di IA.
La mia valutazione è che lo strumento deontologico sia particolarmente appropriato ed efficace in questo contesto. Direi efficace perché appropriato, nel senso che risente della consonanza culturale con i professionisti che sono tenuti ad attenervisi, genera una forma di auto-regolazione che coniuga trasparenza con adattività. Abbiamo infatti bisogno di una normatività che si adatta nel tempo e che sia capace, nel suo essere astratta, come lo sono le linee guida o i principi, di regolare in senso soft gli usi che si presenteranno e che oggi non possiamo prevedere né predeterminare. L’inter-temporalità diventa una forma di intelligenza normativa. Che ci può e ci deve accompagnare.