Venerdì, 4 Ottobre 2024

Una delle più belle definizioni del diritto all’oblio è probabilmente questa di Guido Scorza: “il diritto a che nessuno riproponga nel presente un episodio che riguarda la nostra vita passata e che ciascuno di noi vorrebbe, per le ragioni più diverse, rimanesse semplicemente affidato alla storia”, che si può leggere nella sua intervista Diritto all’oblio e diritto alla storia, pubblicata in http://www.unacitta.it/newsite/altritesti.asp?id=213

Essere dimenticati
 
Come spesso avviene quando ci si occupa di nuove tecnologie, benché gli strumenti siano modernissimi e innovativi, i bisogni e gli interessi che le sottendono non sono affatto nuovi o sconosciuti: l’esigenza di essere dimenticati, o più precisamente che un episodio poco edificante della nostra vita venga dimenticato, è sempre esistita e non è un caso, probabilmente, che alcune delle sentenze più recenti che si sono occupate del problema si riferiscano a fatti di terrorismo a cui l’autore, spesso al termine di un percorso giudiziario e personale molto complesso e travagliato, non voleva più essere accostato.
La questione della ripubblicazione di notizie di cronaca, oramai passate ma riproposte in relazione a fatti più recenti, e del suo conflitto con il diritto del singolo ad essere dimenticato sì è posta ben prima dell’avvento della Rete e la giurisprudenza ha da tempo affermato che è riconosciuto un “diritto all’oblio”, cioè il diritto a non restare indeterminatamente esposti ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare al proprio onore e alla propria reputazione, salvo che, per eventi sopravvenuti, il fatto precedente ritorni di attualità e rinasca un nuovo interesse pubblico all’informazione.
Analogo principio è stato applicato anche a personaggi che hanno avuto grande notorietà.
 
L’epoca del web
 
Se pertanto l’esigenza è ben più risalente dell’avvento di internet, il suo utilizzo amplifica e fa “esplodere” il problema: l’informazione nel web è non stratificata nella stessa maniera a cui per secoli ci eravamo abituati: biblioteche ed emeroteche sono state sempre consultabili, ma prevedevano la necessità di un accesso fisico ai documenti, con conseguente bisogno di recarsi presso l’archivio, di una lunga e paziente ricerca, di impiego di tempo e attenzione per ritrovare esattamente quella pagina di giornale con la descrizione di quel determinato evento di cronaca, solo un vero e profondo interesse riuscivano a giustificare la profusione di tante risorse materiali ed intellettuali .
La “rete” rende tutto estremamente semplice e immediato, pochi click e riappaiono articoli e fatti lontani nel tempo e nello spazio, stravolgendo i normali contrappesi – tempo, spostamenti fisici – che una ricerca storica presuppone; inoltre il web vive in un eterno presente, in cui la rapidità e la facilità di accesso alle informazioni rischia di far perdere al fruitore quella prospettiva storica dei fatti che permette di inserirli correttamente nel contesto in cui si sono svolti e che li rende proprio per questo maggiormente comprensibili.
 
Una convivenza da regolamentare
 
In questo mutato quadro fattuale come conciliare la memoria dell’informazione e il diritto all’oblio? Il diritto all’oblio confligge, infatti, con un altro importante diritto dell’individuo: il diritto all’informazione e alla libertà di espressione; se un reato o una notizia sono considerati di interesse per la società e per la completezza dell’informazione, i cittadini hanno diritto a che quella notizia resti comunque disponibile.
Un prima risposta alle opposte esigenze l’ha fornita la sentenza di Cassazione del 5 aprile 2012, n. 5525, la quale nella scelta tra la cancellazione dalla rete o la contestualizzazione dell’informazione ha individuato il punto di mediazione proprio nella necessità di fornire il giusto contesto a chi accede alle informazioni,  non si tratta quindi di sancire un  diritto a dimenticare, ma del diritto a contestualizzare (banalmente corredando le pagine web di una data che consenta al lettore di comprendere il contesto temporale in cui si iscrive la notizia).
Anche il Garante per la protezione dei dati personali fin dal 2009 aveva fornito alcune indicazioni circa le modalità con le quali gli interessati potessero fare opposizione al trattamento dei propri dati per motivi legittimi e soprattutto aveva riconosciuta come legittima l’aspirazione a che nei motori di ricerca esterni al sito dell’editore ove la notizia era pubblicata, non restino associate perennemente al proprio nominativo le notizie oggetto dell’articolo.
Il Garante italiano, allo stesso modo che la Cassazione, non aveva stabilito la cancellazione della notizia, ma che la pagina web contenente i dati personali dell’interessato fosse tecnicamente sottratta alla diretta individuabilità tramite i più utilizzati motori di ricerca esterni (c.d. fase di grabbing), facendo sostanzialmente gravare sull’amministratore del sito web sorgente l’onere di non rendere facilmente indicizzabile la notizia attraverso i dati personali del soggetto che aveva chiesto di “essere dimenticato”.
 
Il caso “Google Spain”
 
Lo stretto legame tra il diritto all’oblio e la protezione dati personali è stato recente affermato dalla Corte di giustizia Europea del 13 maggio 2014, c.d. Sentenza Google Spain o Costeja, la quale si è occupata di una richiesta di blocco e cancellazione di dati personali richiesta ai sensi della direttiva europea 95/46.
Anche in questo caso  il conflitto tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca viene risolto dalla Corte equilibrando i due diritti: nessun dato viene cancellato o rimosso dai server e, soprattutto, dai risultati delle ricerche, vengono solo oscurati i risultati delle ricerche fatte in base al nominativo della persona cui è stato riconosciuto il diritto all’oblio, ma non i risultati, pertinenti lo stesso argomento, relativi ad altre chiavi di ricerca: ad esempio  se Tizio ha commesso una rapina all’Ufficio postale di Feletto, ed a Tizio – per motivi meritevoli- viene riconosciuto il diritto all’oblio, i più comuni motori di ricerca non potranno più riportare nei risultati delle ricerche fatte a partire dal nome “Tizio” il fatto “rapina all’Ufficio postale di Feletto”; ma la ricerca sul fatto “rapina all’ufficio postale di Feletto” riporterà ovviamente l’articolo completo anche con il nome di Tizio.
Sostanzialmente viene riconosciuto il diritto a che la deindicizzazione delle informazioni personali relative ad un determinato fatto di cronaca sia effettuata dal motore di ricerca e non dal gestore del sito web ove la notizia è stata pubblicata
La sentenza della Corte ha però creato un “vuoto applicativo”: chi e secondo quali regole può chiedere l’applicazione del diritto all’oblio?
La Corte ha di fatto demandato al motore di ricerca l’interpretazione dei casi e le relative decisioni ed è per questo che è in discussione un progetto di legge che faccia chiarezza su chi e quando possa chiedere la deindicizzazione dei propri dati.
 
I motori di ricerca
 
Un motore di ricerca è uno strumento web che restituisce dei documenti corrispondenti ai risultati di una ricerca avviata attraverso una parola o una frase inserita dall’utente.
Il crawler è il componente del motore di ricerca che si occupa di “scandagliare” continuamente il web al fine di individuare la pubblicazione di nuovi contenuti, di indicizzarli, raccoglierli e memorizzarli temporaneamente per fornire, su richiesta dell’utente, le informazioni presenti in tali documenti. Questo componente rileva anche quando le informazioni esposte su una pagina, già indicizzata in precedenza, vengono aggiornate.

In seguito alle continue scansioni del web, i contenuti inseriti nell’indice (utilizzato poi, successivamente, per la composizione dei risultati mostrati in risposta a qualsiasi genere d’interrogazione) vengono mantenuti quanto più possibile aggiornati da parte del motore di ricerca.

Quindi, in sintesi, un motore di ricerca svolge le seguenti funzioni:
  • scansione continua del web
  • costruzione ed aggiornamento costante dell’indice dei risultati
  • calcolo dell’importanza (tecnicamente chiamata ranking) di ciascuna pagina contenente un risultato
  • presentazione dei risultati all’utente
L’indicizzazione delle pagine web può avvenire in due modalità: manualmente da parte del webmaster (cioè da parte dell’utente che amministra un sito web) sia automaticamente da parte del crawler.
La procedura più immediata per fare in modo che i propri dati (nome e cognome) siano rimossi dai risultati forniti da un motore di ricerca, è quella di contattare il gestore del sito ove i propri riferimenti sono pubblicati, naturalmente qualora ciò sia possibile, e richiederne la rimozione (oppure, ove possibile, effettuarla in proprio cancellando o modificando l’account). Quando il webmaster (cioè colui che amministra tale sito web) avrà provveduto a tale rimozione, non appena il crawler del motore di ricerca tornerà ad indicizzare la medesima pagina, le informazioni rimosse (quindi ad esempio il proprio nome e cognome) dovrebbe immediatamente scomparire dai risultati delle ricerche.
Il condizionale è dovuto al fatto che i motori di ricerca, per ridurre i tempi di risposta alle interrogazioni utente, mantengono per un certo tempo i dati delle interrogazioni in una memoria temporanea (chiamata cache) che periodicamente viene aggiornata. In questo caso due sono le possibilità: si attende il tempo necessario al refresh (cioè al rinnovo) della cache (un tempo breve ma non individuabile a priori perché configurato dal gestore del motore di ricerca) sia forzarne l’aggiornamento attraverso delle procedure individuabili sul sito del fornitore del motore.
Da marzo 2016, Google utilizza la geolocalizzazione per restringere l’accesso alle pagine de-indicizzate (delisted) su tutti i propri domini di ricerca (quali ad esempio google.fr, google.co.uk, google.de, ecc. incluso google.com) quando l’accesso avviene dal paese del soggetto che ne ha chiesto la de-indicizzazione. Questo significa che quelle pagine non saranno più accessibili dagli utenti che utilizzano quelle estensioni del motore di ricerca, ma lo saranno ancora per le altre versioni di Google.
Da parte sua Google si è impegnata a de-indicizzare da tutte le sue estensioni le risorse (pagine o URL) di cui si chiede la de-indicizzazione ma limitatamente agli accessi fatti dal paese da cui è stata fatta la richiesta di de-indicizzazione.  Questo significa che gli utenti degli altri paesi dell’Unità Europea saranno ancora in grado di visualizzare questi risultati così come i motori di ricerca di questi paesi continueranno a indicizzare quelle informazioni.
Per richiedere la de-indicizzazione di informazioni dal motore di ricerca Google, è necessario compilare l’apposito modulo online, che si trova su https://www.google.com/transparencyreport/removals/europeprivacy/
corredandolo di copia del documento di identità, ma la decisione se ottemperare o meno alla richiesta è del motore di ricerca a meno di non rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea.