È realtà. Si potrebbe iniziare così un editoriale scritto dopo il 14 giugno 2023, data balzata in cima alle testate internazionali e sulla rete come la data nella quale l’Unione Europea fa un passo unico e rivoluzionario nella direzione di creare una grammatica, una regola e un metodo comuni per governare l’intelligenza artificiale che permea e che permeerà le nostre vite.
Eppure, molto già era realtà. Le istituzioni che a livello nazionale e transnazionale si sono cimentate in questi ultimi anni con la questione del bilanciamento fra accoglimento di tutto il potenziale di crescita che è generato dal progresso scientifico e tecnologico e salvaguardia dei diritti fondamentali assunti a baluardo contro ogni rischio di esercizio di potere ancorché di quello suffragato, aumentato e consolidato dalle capacità di raccolta, analisi e sfruttamento dei dati (dove per capacità si intendono anche quelle di carattere computazionale) hanno già percorso della strada nella direzione che ci orienta tutte e tutti verso la creazione di una reale grammatica condivisa delle regole che devono inquadrare l’intelligenza artificiale all’interno di un quadro la cui chiave di volta si chiama “rule of law”.
La normativa europea rappresenta su scala globale il precipitato di una combinazione complessa – e niente affatto lineare – di molti fattori: fattori giuridici, ancorati al tracciato del legislatore europeo (basti pensare al Digital Service Act, a EiDAS e al più recente MICA) e al puntuale intervento della giurisdizione di Strasburgo che congiuntamente a quella di Lussemburgo non ha mancato di affrancare la tutela dei diritti fondamentali dalla conoscenza di dettaglio e tecnicamente inesigibile dell’articolato dei codici sorgente che è alla base della elaborazione e della produzione di algoritmi di machine e deep learning; fattori politici, che, senza troppe sorprese sotto il profilo della realpolitik, hanno costretto l’Unione europea a muoversi su un tavolo di gioco di doppio livello, dove la partita è da giocarsi con USA e Cina e dove la stessa partita risulta “giocabile” nelle forme e nei limiti che il consenso effettivo inter-governamentale si generi a livello di Consiglio europeo e di Consiglio dei Ministri; fattori economici legati agli stake colossali che sono oggi sul piatto quando si parla di intelligenza artificiale e, in prospettiva, di proiezioni di matematica quantistica applicata ai dati e integrata nella governance delle città; fattori culturali, che qui sono indicati in ultima posizione, ma solo allo scopo di sottolinearne sia l’urgente considerazione in posizione prioritaria nella politica che gli Stati avvieranno per attuare il regolamento AI Act, sia l’ineludibile ed incomprimibile ruolo che questi giocano nel costruire quel ponte di incontro fra regolazione e vita delle persone.
Perché è in realtà di questo che stiamo parlando.
Il mercato del lavoro si trasforma. Un algoritmo svolge una valutazione preliminare di pertinenza dei profili curriculari dei candidati e delle candidate per un posto di lavoro. Un atto di trasferimento di quote societarie svolto in via digitale, senza alcuna forma di interazione in persona, a partire da asset la cui origine non è nota agli azionari di una società che viene a costituirsi integrando questi asset. Una compravendita di un immobile la cui valutazione tecnica e funzionale è stata fatta attraverso la realtà aumentata e il metaverso. Una azione di contrasto alla circolazione di beni di contraffazione svolta sulla base di algoritmi elaborati a partire da dati massivi in materia di transazioni economiche e commerciali e mobilità internazionale.
Si tratta di vita. Non è solo la grammatica della regolazione che viene chiamata in causa come fonte di tutela contro le potenziali violazioni di diritti, dalla privacy, al diritto alla non discriminazione, al diritto ad avere possibilità effettiva di chiedere che qualunque istanza di potere economico, politico, sociale, renda conto e sia censurata in caso di violazione di norme non derogabili.
È anche la modalità con la quale le diverse comunità, i territori, le culture vivono questioni vitali nella vita delle famiglie, delle imprese, dei rapporti fra generazioni: come si eredita un asset in criptovaluta? Come si controlla la trasparenza di un atto certificato riconosciuto da una autorità di altro paese? Come si è certi che a valle della opzione sull’uso dei cookies non si sarà vittime di un abuso di potere informativo? Come è verificabile che l’identità digitale permetta di interagire in modo certo, rapido, semplice e comprensibile anche alle persone con un basso livello di digital literacy con la pubblica amministrazione?
Questa è la realtà da cui partire per fare della grammatica regolativa una tutela effettiva per i cittadini e le cittadine sul territorio.
Alcune cose quindi vanno immediatamente messe in cantiere partendo da una premessa: la costruzione per via tecnica ovvero computazione di regole – sia intese come regolarità comportamentali che scaturiscono da interfaccia con sistemi informativi standardizzati, sia intese come regolarità/istruzioni per risolvere problemi complessi elaborate a partire da matrici di dati codificati sulla base di modelli e teorie sovente non note ai portatori di diritti soggettivi – obbliga a rimettere al centro della riflessione collettiva una domanda fondativa del patto sociale che è fonte e garanzia della continuità di un assetto costituzionale e democratico: in che modo vogliamo bilanciare l’esercizio del potere – necessario – con la innegoziabile tutela della persona come depositaria di libertà?
Se dunque le nuove forme di prendere decisioni integrano intelligenze artificiali, non possiamo immaginare di delegare a queste la totalità dei controlli della qualità delle decisioni.