Sabato, 23 Novembre 2024
RobertoGaravagliaNel suo ultimo libro ha analizzato le opportunità di una “applicazione accorta e lungimirante” della tecnologia blockchain che supporta le transazioni virtuali in modo decentralizzato. Ne ha anche illustrato i limiti (centralizzazione del controllo, crittografia obsoleta, separazione dei ruoli tra i partecipanti, consumo energetico). È possibile immaginare i possibili sviluppi di questa tecnica? 

Con “applicazione accorta e lungimirante” della blockchain ho inteso rappresentare l’opportunitĂ  (se non la necessitĂ ) dell’impiego di questa tecnologia avendo contezza dei propri limiti. Le migliori strategie si progettano esercitando consapevolmente un pensiero laterale, ma affrancandosi dalle fascinazioni di ciò che appare (a tutti costi?) innovativo. La trappola dei bias cognitivi (specie quelli di conferma) è sempre innescata e occorre stare bene all’erta.Ciò premesso, credo che gli scenari in cui disegnare direttrici di innovazione in questo contesto debbano prevedere l’adozione di modelli “ibridi”, nei quali una (o piĂš) blockchain permissionless si pongano centrali rispetto allo sviluppo e all’operativitĂ  di architetture permissioned. È una tecnica, questa, che si basa sulle cc.dd. “Pegged Sidechains” teorizzate dal crittografo Adam Back e da altri informatici, fra cui Matt Corallo e Luke Dashj, nell’ottobre del 2014. L’idea è di impiegare blockchain con asset nativi, per le quali il sistema di consenso distribuito prevede un’attivitĂ  di mining, che fungano da ‘hub’ in modo da garantire l’interoperabilitĂ  di blockchain permissioned.

In questo modo si perverrebbe a un trade-off fra un sistema di Governo Decentralizzato e Controlli Distribuiti, nel quale la fiducia è riposta in chiunque dimostri matematicamente di esserne in grado (risolvendo un complicato enigma crittografico), e un sistema di Governo Centralizzato e Controlli Distribuiti, nel quale solo in alcuni individui noti e predeterminati è riposta la fiducia, dove le transazioni sono validate raggiungendo un consenso distribuito tra piÚ soggetti preselezionati. In altre parole, si avrebbe la garanzia di una decentralizzazione economicamente ottima (in senso Paretiano) salvaguardando la scalabilità.

Per fare un paragone con quanto accaduto parecchi anni fa con i sistemi di crittografia basati su una infrastruttura a chiave pubblica, public key infrastructure (PKI), all’inizio nessuno pensava che ci si potesse “fidare” di algoritmi che non fossero basati su chiavi private e simmetriche. In seguito, si è compreso che l’adozione di sistemi basati su chiavi pubbliche potevano essere efficacemente usati laddove avessero lasciato “ai morsetti” (come direbbero gli elettrotecnici) la fruibilità di sistemi di cifratura basati su una chiave segreta condivisa (shared secret).

I nuovi protocolli tecnologici Blockchain introducono modalità di consenso distribuito e di esecuzione autonoma e decentrata (cd Smart Contract) che sembrano trasformare alla radice i concetti di transazione, proprietà e fiducia. Si tratta di nozioni che sono tradizionalmente associate al lavoro del notaio; quali connessioni vede tra la figura del notaio e la blockchain?

Sono convinto che non si debba confondere la figura del notaio con la funzione di “notarizzazione”. Mi spiego meglio e, per cercare di essere il più possibile esaustivo, devo proporre la definizione di due termini: criptoasset e token.

Con criptoasset significo una rappresentazione digitale di valore resa univoca grazie all’impiego di meccanismi criptografici; i criptoasset possono essere “depositati” e “scambiati” su piattaforme Distributed Ledger rispettando le regole di un protocollo di blockchain (si parla in questo caso di “asset nativi”).
Con token intendo una “legatura digitale” della legittimazione di un diritto al titolo rappresentato dal criptoasset che consente di creare un legame tra un bene fisico (oppure un bene “off chain”, ossia che sta al di fuori della blockchain) e un asset nativo delle blockchain</em>; il token è scambiabile su piattaforme Distributed Ledger e in una transazione in token su Distributed Ledger, la validità dei negozi giuridici sottostanti è garantita da un protocollo di blockchain, anche tramite l’impiego di opportuni “Smart Contract”.

Orbene, il processo di tokenizzazione così descritto, non può garantire ex-ante l’autenticità (rectius, il valore dell’autenticità) di un asset fisico; tale garanzia è, oggi, offerta dal notaio. In questo senso vedo potersi perfettamente contemperare la figura del notaio con la funzione di notarizzazione realizzabile tramite una blockchain.

Il notariato è sempre più digitale (atto informatico, adempimenti telematici con l’Agenzia delle entrate e il registro delle imprese, successioni online) e offre servizi tecnologici sempre più innovativi al servizio della Pubblica Amministrazione e quindi del cittadino; come potrebbe il notariato contribuire allo sviluppo dell’ “Internet del Valore” che per lei rappresenta uno degli apporti principali della tecnologia blockchain?

Collegandomi alla risposta precedente, se è chiaro cosa sia un processo di tokenizzazione, dovrebbe apparire folle anche solo il pensiero di avocare alla blockchain funzioni catalizzatrici.
In altri termini, non si può pensare che un asset fisico tokenizzato, depositato e scambiato sulla blockchain, laddove corrotto (o “sporco”) all’origine possa magicamente “pulirsi” (o ripulirsi) grazie alla tecnologia che sottende la blockchain stessa. È quello che gli informatici chiamano l’annoso problema del Gi-Go (Garbage In – Garbage Out).

Se metto su una blockchain il frutto dell’elaborazione digitale di un’informazione non autentica o impura (quale può essere il dato “off-chain”), corro il rischio di rendere immutabile l’impronta digitale di tale informazione e, cosa assai più grave, di rendere opponibile di fronte a un giudice, qualsiasi transazione commerciale che con tale dato si sia compiuta sulla blockchain stessa, adducendo una possibile valenza probatoria che, nei fatti, nulla dice (né potrebbe dire) in merito alla correttezza e completezza dei dati imputati.

Quando si parla di “legal enforcement” degli smart contract, sarebbe sempre opportuno – prima – chiedersi chi può garantire la “bontà” di un’occorrenza esterna (un’informazione, un evento che appartengono al mondo fisico) che viene mediata tramite un Oracolo o una Dapp (Decentralized Application).
Oggi chi può essere garante di tale genuinità è l’azione di un notariato sempre più “digital oriented” (piuttosto che semplicemente “digital”) che, in tal senso, può a mio avviso contribuire efficacemente allo sviluppo dell’“Internet del Valore”.
Un modello, quello del notariato “digital oriented”, sicuro anche a livello europeo, in grado di esperire un controllo preventivo sull’identità dei soggetti coinvolti e sulla correttezza e completezza dei dati stessi prima di essere inseriti nella blockchain.

Consulente strategico nel settore dei sistemi di pagamento digitali, Roberto Garavaglia è da oltre venticinque anni specializzato nell’ideazione di nuovi modelli di business e prodotti innovativi. Nel 2014 è fra i primi in Italia ad occuparsi di progetti Blockchain. Accanto agli impegni di strategic advisor svolge attività di divulgazione scientifica e di docenza presso imprese e università. Dal 2008 collabora con il Politecnico di Milano contribuendo con la propria esperienza all’analisi delle strategie in ambito New Digital Payments e tenendo corsi su Blockchain e gli scenari di mercato che possono orientarne uno sviluppo cross-industry. Ha al suo attivo innumerevoli pubblicazioni scientifiche sviluppate nell’ambito degli Osservatori del Politecnico di Milano, su temi che concernono l’innovazione e la regolamentazione dei sistemi di pagamento innovativi. Nel 2013 avvia il portale PagamentiDigitali.it di cui è coordinatore editoriale. Nell’aprile 2018 pubblica per Hoepli il libro “Tutto su Blockchain”.