La lettura delle conclusioni del Secondo Tema del recente Congresso parigino dell’Unione Internazionale del Notariato mi induce ad alcune considerazioni.
Quando in Europa (1992) esisteva un solo fornitore inglese (per gli anglofili, provider) di servizi di posta elettronica, chi scrive già collaborava per conto del notariato italiano da un lato con l’American Bar Association, per la redazione delle Guidelines on electronic commerce, dall’altro con la Presidenza del Consiglio per la redazione della legge sulla firma elettronica che precedette, cronologicamente e qualitativamente, la Direttiva europea.
Tale preveggenza del notariato italiano non mancò di suscitare in seguito l’interesse di Franco Bassanini, già ministro della Funzione Pubblica, in visita allo stand Notartel al Congresso di Roma del 2004, accompagnato dal neo presidente del Consiglio Nazionale del Notariato Paolo Piccoli.
Già allora da parte del notariato venivano evidenziati quegli irrinunciabili requisiti di accertamento della volontà delle parti, libere da costrizioni e condizionamenti, che solo la presenza fisica dinanzi al notaio può garantire, ma si sottolineavano altresì i vantaggi in tema di circolazione, oltreché degli atti, delle copie e in genere in tema di trasmissione alla Pubblica Amministrazione, con la possibilità di sottrarre la trascrizione degli atti nei vari registri ai ritardi e alla discrezionalità della burocrazia.
Non fu un caso se lo sforzo congiunto del Consiglio Nazionale del Notariato e di Unioncamere portò alla creazione del Registro Imprese telematico dopo cinquant’anni di inerzia.
Fantasticavamo allora che questa rivoluzione che il notariato favoriva e capeggiava avrebbe trovato nel nostro Paese fertile terreno e che, per una volta, la nostra arretratezza ci avrebbe consentito un balzo in avanti degno del Presidente Mao. A fronte di Paesi, come la Francia, che avevano architettato sistemi informatici autarchici e proprietari (chi ricorda più il complicato Minitel?) il passaggio dell’Italia da una burocrazia arretrata e cartacea a sistemi telematici efficienti, pensavamo, sarebbe stata più agevole e immediata.
Le considerazioni che andavo facendo riguardavano appunto il perché quelle speranze e quegli auspici che nutrivamo con tanta fede fossero stati traditi e mi chiedevo se le mie opinioni non fossero per caso venate di inguaribile pessimismo, finché non mi sono imbattuto nell’ultima rilevazione dell’indice della Commissione europea che misura il percorso dei Paesi verso un’economia e una società digitalizzate (DESI).
A distanza di un anno dall’ultima valutazione, l’Italia non fa progressi nel settore digitale e si posiziona al 25mo posto, come l’anno scorso, penultima in Europa sull’utilizzo di internet.
Questa costatazione, non frutto del mio pessimismo, non può che indurre a ulteriori considerazioni. Il nostro Paese è preda di due iatture apparentemente invincibili: scelte tecnologiche miopi e una organizzazione inefficiente.
Un Paese lungo, stretto e montagnoso come l’Italia, più di qualunque altro al mondo avrebbe necessità di collegamenti telematici capillari ed efficienti che potrebbero consentire lo svolgimento di molti lavori senza necessità di spostamento verso i grandi centri con l’aggravio economico ed ecologico che queste diuturne migrazioni di massa comportano. La soluzione adottata? Privatizzare la più grande società informatica pubblica, senza investimenti in fibra ottica e banda larga. Pensare che con le necessità di scaricare dati dalla rete (sempre per gli anglofoni, download) una navigazione a 1 o 2 megabyte possa consentire un efficiente collegamento con il mondo esterno è assolutamente irreale, con buona pace delle raccomandazioni dell’Europa sulla dematerializzazione.
Ma veniamo all’organizzazione. Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà in cui versa il l’informatizzazione del processo civile. Una mia parzialissima ricerca mi spinge alla conclusione che nei Tribunali Italiani esistano circa tre/quattrocento dipendenti di imprese private che hanno l’unico scopo di trasmettere un documento informatico dalla scrivania del cancelliere a quella del giudice; e il costo di tutto ciò è ribaltato sul sistema giustizia.
Ma non basta; da più parti si auspica l’arrivo di salvifiche novità, quali i bitcoin e la blockchain, ignorando che, al di là dei problemi che queste nuove tecnologie pongono in termini di sicurezza giuridica (rieccoci alle conclusioni del Congresso parigino), consegnare il Paese a queste tecnologie, senza dotarlo delle infrastrutture necessarie, sarebbe come far correre il treno ad alta velocità sulla Napoli-Portici.
Alla fine quindi sembra che sia proprio il notariato, anche a livello internazionale, a investire e nel voler continuare a farlo nella rivoluzione informatica.